Tutto è nato per questioni di affinità… Olfattive. Quando, per caso, ho scoperto il suo romanzo ero curiosissimo di leggerlo e di confrontarlo con La Donna che Annusava le Librerie: è risaputo, il cervello umano ama fare paragoni, per avere una base uniforme o perlomeno percepita come conforme, di giudizio. Soprattutto, però, ero curioso di conoscere ‘chi’ ci fosse dietro a uno scritto così particolare. Ed è stato per questo che sono andato a conoscere personalmente Desy Icardi al Salone del Libro 2019, quando ero all’inizio del mio Grand Tour che avrebbe presentato La Guerra degli Scrittori in tutta Italia.

La chiacchierata ha rivelato la semplice bellezza e lo stupore di una bellissima persona col quale sono rimasto in contatto e con cui, ogni tanto, mi piace scambiare quattro chiacchiere. Anzi, 88. Da qui nasce l’idea di intervistarla, a un giorno dall’uscita del suo nuovo romanzo La ragazza con la macchina da scrivere, Fazi Editore.

Ciao Desy, e grazie per la possibilità di condividere tuoi pensieri, idee, concetti a chi mi segue.

Partiamo dalle fine: emozionata per l’uscita del nuovo romanzo o ormai si può dire che è diventata una routine?

Sono emozionata, euforica, preoccupata; una emorragia di aggettivi, insomma. Credo che l’uscita di un nuovo romanzo non potrà mai diventare una routine, non per me, almeno.

Dovessi usare tre parole per descrivere “La ragazza con la macchina da scrivere”?

Userei le stesse parole che ho già usato per L’annusatrice di libri: onirico, ironico e retrò.

Come e da dove nasce, che origini ha questa voglia di esprimerti con parole scritte?

Il mio amore per il narrare nasce dal teatro, i miei primi lavori di scrittura sono stati adattamenti teatrali. Ho lavorato in teatro dai venti ai trent’anni e ho fatto parte di alcune compagnie nelle quali, oltre a recitare, ero il punto di riferimento per la stesura dei copioni. Dal teatro sono poi passata al cabaret, dove scrivevo – e scrivo tuttora – i monologhi da portare in scena.

Il mestiere dello scrittore. Lo consideri più lavoro o vocazione?

Credo che sia un lavoro da approcciare con il massimo rispetto e impegno. Così come non credo all’anima gemella, non credo neppure all’arte gemella; penso semmai che ci siano persone e attività con le quali è più probabile essere felici.

Nel gioco della narrazione hai un piano sul quando lasciare spazio all’immaginazione del lettore e quando invece incanalare al meglio con aggiunta di dettagli quello che poi chi legge va a fantasticare?

Certo che sì. Come lettrice detesto quando l’autore si fa troppo “gli affari miei” con descrizioni iper-dettagliate che non lasciano spazio alla mia immaginazione. Il lettore, quando legge un libro, deve essere il pilota della narrazione, mentre lo scrittore è al massimo un assistente di volo (che non può nemmeno servire le noccioline!). La mia preoccupazione, quando scrivo, e di fornire tutti i dettagli necessari, senza mai diventare invadente.

Quanto ha influito (e influisce) l’ambiente culturale in cui sei cresciuta? Torino, ad esempio, si ‘respira’ anzi si ‘annusa’ ne “L’annusatrice di libri”. Dunque, quanto c’è dell’essere, dell’interpretare la vita come la gente delle tue parti nei tuoi scritti?

È più semplice – ed efficace – scrivere di ciò che si conosce bene e io, purtroppo, non ho avuto molte occasioni di viaggiare e, soprattutto, di fermarmi tanto a lungo in un posto da poterne captare le atmosfere, per poi restituirle in forma narrativa. Per fortuna vivo in una città bella, grande e sfaccettata, che offre molte possibilità narrative.

Come nasce quella che è la tua prima, vera creatura scritta e quanto hanno aiutato (se lo hanno fatto) gli spettacoli live che porti in giro per il comprensorio torinese?

La mia prima creatura narrativa è stato un racconto lungo – o romanzo breve che dir si voglia – tratto da una mia commedia teatrale. La commedia, intitolata Tacchi e taccheggi, ebbe riscontri positivi, ma purtroppo, per motivi squisitamente economici, fummo costretti a interrompere le repliche. Poiché mi spiaceva abbandonare quella storia alla quale ero molto legata, decisi di trasformarla in un testo narrativo.

L’annusatrice di libri e La ragazza con la macchina da scrivere: quanto cambia la prima stesura consegnata in casa editrice dall’uscita finale in percentuale?

In percentuale non saprei dirti, per fortuna non mi sono mai stati imposti dei cambiamenti tout-court, semmai mi sono state segnalate delle parti da rinforzare o dei punti di attenzione, ma sono stata sempre io ad agire sul testo, e questo è accaduto con tutti gli editori con i quali ho avuto occasione di lavorare, grandi o piccoli che fossero.

I cambiamenti con un editor a tuo fianco per le case editrici importanti sono una prassi considerata normale. C’è mai stato qualcosa che ti sei impuntata e proprio non volevi cambiare?

In realtà le modifiche più consistenti mi furono richieste da un editore molto piccolo, al quale obbedii perché si trattava di una delle mie prime pubblicazioni. Dissi invece no quando un editor mi suggerì di esplicitare il nome di un mio protagonista, che invece avevo avuto cura di omettere per l’intera narrazione (il che, a ripensarci ora, fu un espediente un po’pretenzioso, oltre che artificioso-).

Ci racconti qualche aneddoto divertente legato alla stesura dei tuoi romanzi?

Li scrivo sul tavolo della cucina, cercando di difendermi dai gatti che vogliono passeggiare sulla tastiera e talvolta ci riescono, scrivendo brani molto profondi, in genere composti da una sola lettera, ripetuta all’infinito (nnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnn). Non saprei dire, tuttavia, se la mancanza di uno studio nel quale scrivere sia da considerarsi una circostanza divertente o molto deprimente.

Ti è mai capitato di ridere o sorridere subito dopo aver scritto qualcosa?

Anche prima, mentre elaboro l’idea e, sogghignando, corro a cercare carta e pena per annotarla.

L’ondata di passione e di notorietà dopo l’uscita de “L’Annusatrice di Libri” durante il Salone del Libro di Torino cosa ti ha lasciato dentro?

Tanto stupore e, soprattutto, gratitudine: i lettori volevano conoscermi, parlarmi, talvolta persino abbracciarmi. La cosa mi ha ulteriormente stupito perché, come lettrice, non sono mai stata troppo espansiva nei confronti degli scrittori. Ma che ben venga l’affetto, ovviamente!

Gli scrittori vivono (anche) per quello che evocano nelle persone che li leggono. Raccontaci qualcosa che ti ha colpito quando hai incontrato i tuoi lettori: gesti, emozioni, aneddoti.

La cosa che più mi stupì fu una lettrice undicenne – evidentemente un genio della retorica – che definì L’annusatrice di libri una “sinestesia emotiva”. Mai definizione fu più colta e puntuale, ma francamente a me non sarebbe mai venuta in mente.

Vista la recente ‘polemica’, cosa ne pensi delle bookblogger? Mi spiego: secondo te risultano essere l’anello mancante con le generazioni di oggi per far conoscere i libri oppure l’attendibilità (e la voglia di crescere di ogni singolo bookblogger) è direttamente proporzionale all’impegno e al valore dei contenuti?

Secondo me ogni lettore ha il diritto di esprimere il proprio parere a proposito dei libri letti, e di condividerlo con altri lettori indipendentemente dal farlo sul tram, in coda alla cassa della libreria, nei salotti letterari o sui social. Le platee internet sono molto ampie, e coinvolgono soprattutto i giovanissimi, che probabilmente sarebbero poco inclini (ma non è detto…) a frequentare il gruppo di lettura della biblioteca di quartiere. Personalmente devo tantissimo ai bookblogger, e al loro supporto spontaneo.

Potresti citare quello che secondo te accomuna grandi e i piccoli scrittori?

A teatro ci dicevano che non esistono piccoli ruoli, ma solo piccoli attori.  Non credo nella distinzione tra grandi e piccoli scrittori, ma soltanto in quella tra scrittori che si dedicano alla pagina scritta con passione e scrittori che lo fanno a tempo perso.

Cos’è per te scrivere?

Scrivere è costanza: così come si va in ufficio ogni mattina, allo stesso modo è necessario scrivere tutti i giorni, per un determinato numero di ore. Ma scrivere per me è soprattutto divertimento, perché se non mi divertissi, di certo non sacrificherei una parte tanto consistente della mia vita standomene china sulla tastiera.

L’incontro al salone ha sancito una bella amicizia con la scrittrice torinese, mi auguro gli spunti sulla lettura e sulla scrittura di questa intervista siano stati piacevoli, come reputo la bellissima persona di Desy.

Kempes Astolfi
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