88 Chiacchiere con… Ricardo Antonio Piana

Ho avuto il piacere di conoscerlo personalmente e starci a contatto in Sicilia, durante il Grand Tour de “La Guerra degli Scrittori”, la scorsa estate. Ed è stata una scoperta che mi ha meravigliato.

“Penso che chiunque dovrebbe provare a saltare fuori dai propri schemi mentali e affrontare le sfide più svariate.”

Un personaggio vero, eclettico, genuino. Geniale. Oggi siamo con Ricardo Antonio Piana, un nerd degli anni 2000 (e venti) che sta creando qualcosa di innovativo nel campo informatico insieme al suo team.

Grazie per il tempo di 88 chiacchiere, Ricardo. Se dovessi spiegare, a chi non sa, cosa è l’intelligenza artificiale in parole diciamo… semplici, come lo faresti?

A me piace una definizione, molto generica, che dice che l’intelligenza artificiale è la capacità di un computer (o di un robot) di svolgere compiti solitamente affidati agli esseri umani. Allo stato attuale l’AI è molto indietro rispetto al ragionamento cognitivo umano, ma lo prevarica nel campo mnemonico, statistico e di calcolo.

Fondamentalmente le AI attuali funzionano, spiegato in parole povere, con una evoluzione dei calcoli della statistica; una cosa che funziona molto bene quando occorre una intelligenza superspecialistica, ma male quando ne occorre una generale, come quella umana. I risultati straordinari che le AI hanno avuto in campi superspecialistici hanno fatto credere al pubblico che si sia già raggiunta la singolarità tecnologica, ossia una intelligenza generale pari o superiore a quella umana: purtroppo se la tendenza attuale sarà confermata, non ne vedremo una prima del 2050.

Il tuo percorso non è stato sempre nello stesso settore, ma il tuo primo amore è stato la programmazione. Come hai iniziato ad appassionarti ad essa?

Mio padre era un radiotecnico: si avvicinò ai computer con poco successo negli anni ‘80. La programmazione era uno scoglio ostico per lui, ma non per me che, appena undicenne, ne appresi i segreti; da allora ho sempre programmato computer, anche quando facevo altri lavori ben distanti, e sono sempre rimasto aggiornato. La passione iniziale era quella di un bambino che voleva creare videogiochi, e tutto sommato quella passione è sempre viva.

Il bello della programmazione è che è una attività umana che ti consente di creare cose mai esistite prima. Questa visione un po’ romantica del programmatore-dio è abbastanza diffusa e si manifesta spesso con arroganza, ma presa con umiltà crea la condizione per comprendere l’importanza del lavoro.

Com’è nata l’idea di userbot e che ruolo hai avuto nella sua realizzazione?

L’idea non è mia: il mio socio Antonio Giarrusso, gestendo la sua famosa app “iMathematics”, si era trovato ad avere centinaia di richieste di assistenza al giorno che gravavano fortemente sulla sua produttività.

La maggior parte delle domande erano ripetitive, e stufo dei continui copia-incolla, si rivolse a me per chiedere se potevamo automatizzare la cosa. Così nacque l’idea di userbot.ai, che, con enormi sacrifici economici e personali, abbiamo portato avanti fino al prodotto attuale.

Quanto prevedi crescerà il settore e di conseguenza il vostro lavoro?

Il mercato globale dell’intelligenza artificiale dovrebbe raggiungere $169.411 milioni nel 2025, da $4.065 milioni nel 2016, dimostrandosi come una delle tecnologie a più rapida crescita (Allied Market Research).

Cosa vedi nel futuro dei programmatori?

I programmatori non sono destinati a scomparire nel breve periodo, ma la loro professione cambierà radicalmente: tra una decina d’anni li vedo più come dei consulenti per soluzioni di sviluppo software intelligente basata su AI.

Il lavoro del programmatore si fa spesso in pairing, con due programmatori che interagiscono per trovare la soluzione migliore; probabilmente in futuro uno dei due membri del gruppo non sarà umano.

Da socio e programmatore della stessa azienda spesso non hai molto tempo libero per te. Come concili il tutto?

Attualmente lo sviluppo del software non è più la mia attività principale in userbot: ho compiti più manageriali e di analisi e gestione del team dei programmatori.  Vorrei saper conciliare meglio, ottimizzare i miei processi produttivi e quelli altrui, risparmiare tempo ed averne di più da dedicare alla mia famiglia.
Concilio tutto, ma con un gran fiatone.

Hai qualche idea tutta tua a cui stai lavorando nello stesso ambito (o fuori dai soliti canoni)?

Prendo in prestito uno slogan del mio caro amico d’infanzia Sebastiano: SEMPRE INVENTANDO. Che mi descrive in due parole. Ho decine di idee in testa costantemente, ne realizzerò alcune a tempo debito, altre si perderanno, è la vita. Vorrei avere il tempo per creare un videogame in 3D.

Parafrasando Marzullo, la vita è una programmazione o la programmazione aiuta a vivere meglio la vita?

La programmazione forma dei processi mentali utili nella vita, e ne rende più difficili altri. Non è raro convincersi che tutto dovrebbe funzionare in modo logico, quando purtroppo o per fortuna, siamo umani, e la logica non è sempre al primo posto.

Programmatore, direttore di luci e direttore di produzione cinematografico, montatore di film, poeta…quale Ricardo è stato più soddisfatto del suo lavoro?

Sono sempre stato contento della mia poliedricità. Ogni attività che ho fatto nella vita, anche la più strana, ha contribuito a formare quello che sono: una personalità complessa e fuori dall’ordinario. I mestieri più strani hanno poi dimostrato di essere non lontani, ed utili, anche alle attività che svolgo adesso. Penso che chiunque dovrebbe provare a saltare fuori dai propri schemi mentali e affrontare le sfide più svariate.

Se dovessi decidere di cambiare di nuovo, cosa faresti e perché?

In un certo senso la vita ha deciso per me e sto ora affrontando il percorso naturale che porta un programmatore dallo sviluppo software, alla consulenza, alla grande sfida della managerialità. Vorrei un giorno passare alla ricerca pura; inventare magari un pezzo di quella singolarità tecnologica che tutti aspettiamo.

Grazie a Ricardo e a chi, come te, cerca di innovare ogni giorno, non solo con la tecnologia, ma con la forza delle idee che vogliono cambiare qualcosa nel mondo.

Kempes Astolfi
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