Oggi ti voglio portare nel mondo di uno che con le parole emoziona, sposta gli umori, regala gioie, certezze e spunti di riflessione. Oggi ti parlo di uno Scrittore con la S maiuscola. Le mie 88 chiacchiere oggi ti accompagneranno con Marco Marsullo, poliedrico talento italiano.
Ciao Marco, grazie per questa opportunità. Da dove nasce, che origini ha questa voglia di esprimerti con parole scritte?
Non saprei rispondere con certezza, ma ho sempre amato scrivere, sin dalle scuole elementari. Poi, via via, i momenti in cui mi mettevano con una penna di fronte a un foglio, per un compito, un tema, hanno cominciato a essere i miei preferiti. Da lì, credo, sia cominciato tutto. Poi ha preso la forma delle storie.
Il mestiere dello scrittore. Per te è più lavoro o vocazione?
È il lavoro più bello che potessi desiderare per me. Perché parte da una specie di vocazione. Mettiamola così: non riuscirei a fare un lavoro migliore di questo per essere felice.
Quanto ha influito (e influisce) l’ambiente culturale in cui sei cresciuto per ciò che scrivi?
Napoli mi ha donato la capacità di ascoltare, di osservare, guardarmi sempre intorno. Poi mi sono formato con la musica, i libri, i film. Dai sedici ai venti non ho fatto altro che questo (e gli studi in giurisprudenza ne risentivano, infatti).
In sostanza, quanto c’è dell’essere, dell’interpretare la vita come la gente delle tue parti nei tuoi scritti?
Be’, Napoli mi ha donato la capacità di raccontare, perché in questa città tutti si raccontano la vita tra loro, anche tra perfetti sconosciuti davanti alla fermata di un autobus. È un destino dei napoletani, quello di condividere, probabilmente.
Come nasce quella che è la tua prima, vera creatura “Ho magalli in testa ma non riesco a dirlo” e come (se ti è stato utile lavorare a qualcosa prima) ti ha aiutato nella stesura del tuo primo romanzo?
Quel libricino di racconti imperfetti mi ha insegnato tanto, perché sono partito con un piccolo editore, e ne vado fiero. Mi ha insegnato a non essere sui giornali, a non essere sulla bocca di tante persone, a dovermi sudare una recensione, una presentazione, un contatto importante con qualcuno. Sono nato guerriero e proseguo così, pure che adesso la mia casa editrice è Einaudi. È una forma mentis che adoro.
In cosa si differenzia “Due come loro”, dalle tue altre opere?
È un romanzo diverso, tanto. Soprattutto per il tema e la trama surreale. Dio, Diavolo, suicidi, trattati con irriverenza e umorismo, sono stati un po’ un azzardo. Meraviglioso, che rifarei.
Nel 2014 hai pubblicato due romanzi, come mai questa inusuale scelta? Oltre L’audace colpo dei quattro di Radio Maria che sfuggirono alle miserabili cronache, era già pronto anche il secondo Dio si è fermato a Buenos Aires?
Il secondo, Dio si è fermato a Buenos Aires (scritto con il mio amicone Paolo Piccirillo, che saluto), più che un romanzo è un diario di viaggio del nostro mese in Argentina. Abbiamo raccontato la città in tanti aspetti.
Ci racconti qualche aneddoto divertente legato alla stesura dei tuoi romanzi?
Proprio durante la stesura de L’Audace colpo ecc, ero in un ritardo clamoroso sulla consegna e, tre mesi dopo, sarei dovuto partire proprio per l’Argentina (il 31 dicembre, per altro, del 2013). Allora mi chiusi in casa per novanta giorni, nutrendomi solo di Milka Oreo, dormendo pochissimo e scrivendo come un matto. Alienante, assai, ma stupendo. Oggi non lo rifarei, non solo per l’approccio cambiato alla scrittura in tante cose, ma soprattutto per la mia colite.
Ti è mai capitato di ridere come un pazzo subito dopo aver scritto qualcosa?
Spesso. Se non sono io il primo a divertirmi per una pagina riuscita, non si divertirà neanche il lettore.
Sappiamo che hai appena finito di scrivere un nuovo romanzo, complimenti per la tua prolificità. Ci puoi dare qualche anticipazione a riguardo?
È una storia molto più tenera, rispetto a Due come loro. Un ritorno, per certi aspetti, a I miei genitori non hanno figli. Di più non posso, ma presto divulgherò.
Gli scrittori vivono (anche) per quello che evocano nelle persone che li leggono. Raccontaci qualcosa che ti ha colpito quando hai incontrato i tuoi lettori, un gesto, un’emozione
Sarebbe impossibile raccontarne uno senza escluderne altri, mi dispiacerebbe. In questi anni di libri e presentazioni in giro per l’Italia, però, ho incontrato tante persone stupende, che mi hanno voluto bene pur non conoscendomi, prendendosi cura di me e dandomi un sostegno immenso. Con molte di loro ho creato anche dei rapporti su facebook di affetto, vero e proprio.
Una volta Ammaniti ti disse “Tu scrivi sempre e manda, se c’è qualcosa che vale, prima o poi esce con un grande editore“. Senti di confermare questo o di aggiungere altro se dovessi dare un consiglio a chi pensa che il proprio lavoro valga qualcosa?
Assolutamente. Se uno è bravo, prima o poi, esce fuori. Dovesse volerci pure più tempo del previsto. Mai mollare.
Una volta finito il lavoro di prima stesura, quanto conta il lavoro dell’editor, e in generale che rapporto hai con questa fase della lavorazione del tuo manoscritto?
Tantissimo. L’editing è fondamentale, aiuta il libro a snellirsi e a essere più compatto, facile alla lettura. Impossibile pensare di pubblicare un libro senza un editing.
Daniel Goleman una volta ha detto che “Uno dei più spietati killer della creatività ha a che fare con il tempo”. Se ne hai, come ti poni rispetto alle scadenze, come le vivi, come ci convivi?
Le vivo con grande serenità. Sono capace di sapere quando è il momento di rallentare e accelerare con il ritmo della scrittura. E alla fine, più o meno, le rispetto sempre. Mi piace la pressione, a conti fatti.
Cos’è per te scrivere?
È il mio destino. Il lavoro più bello del mondo.
Signore & Signori, Marco Marsullo.
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